Correva l'ultima settimana del mese di Ramadan dell'anno 1434 (per voi del calendario gregoriano parliamo di poco più di un mese fa) e mi lamentavo con C. della mancanza di progetti per Eid Al Fitr, la vacanza di fine Ramadan.
"Oh, c'è un volo A/R per Khasab a RO 48 (un centinaio di euro), si va?"
"Pronti, prenotiamo!"
Iniziava così il nostro viaggio verso il Musandam, enclave omanita in territorio emiratino, strategicamente situata all'imboccatura dello Stretto di Hormuz. Favorisco foto rubata da Wikipedia:
Il Musandam è la penisola frastagliata che punta verso le coste dell'Iran |
"Bene AZ, ora che abbiamo prenotato il volo e due notti nel pacchianissimo Khasab Hotel, abbiamo idea di cosa fare da quelle parti?"
"Boh, parlano tutti di 'sti fiordi, facciamo la gita in barca tipica ("Dhow") con puntata a Telegraph Island, dove nell'800 gli inglesi piazzarono una stazione del telegrafo sulla linea da Londra a Karachi? Magari ci buttiamo dentro le pitture rupestri, le case scavate nella roccia e un paio di forti. E due birrette al Golden Tulip".
Googlando pigramente in cerca di ulteriori info sulla nostra destinazione, però, emergeva - a poco a poco - una faccenda infinitamente più interessante di quattro capre incise su una roccia.
Le robe rupestri siamo andate comunque a vederle. |
Da siti turistici, flickr di anziane scandinave, giornali europei e profili Facebook a caso comparivano riferimenti continui a misteriosi contrabbandieri (per amor di chiarezza e anche per amore del mio permesso di soggiorno, qui si parlerà solo ed esclusivamente di commercio di beni leciti).
Parole chiave: Iran, barche, capre, sigarette e televisori. Praticamente un esercizio di scrittura creativa: usa queste 5 parole per raccontare una storia. La mia storia è questa - e badate bene che è solo una storia.
C'era una volta una penisola mediorientale popolata da pescatori e pastori di capre. Il terreno montuoso e inospitale rende difficili gli spostamenti via terra e i pochi abitanti della zona vivono isolati e - presumo - ignari dell'importanza strategica che a un certo punto avrebbe avuto lo stretto di mare davanti alle loro casette scavate nella roccia, stretto che i nostri eroi condividono con l'Iran. Negli anni '70, con l'ascesa al trono del Sultano Qaboos e la nascita degli Emirati Arabi Uniti, i pescatori/pastori peninsulari si ritrovano residenti in un'enclave omanita in territorio emiratino (con l'eccezione di un microterritorio che si annette agli Emirati diventando un'enclave emiratina in un'enclave omanita in territorio emiratino: il Medio Oriente è cosa complicata!).
Fast forward al nuovo millennio con l'importanza totalissima dello Stretto di Hormuz, le sanzioni all'Iran etc. etc.
Oggi Khasab è una strana cittadina servita da un aeroporto militare aperto al pubblico civile per 2 ore al giorno. Ogni mattina (tranne quando il volo viene cancellato per nebbia cioè spesso), arriva un bielica da Muscat, sbarca i passeggeri, viene pulito e rifornito di succhi di frutta e muffins, carica passeggeri e riparte per Muscat. Punto. E' qui che atterrano, nell'infernale afa di agosto, le due protagoniste della nostra storia.
Passiamo la prima giornata visitando Khasab e dintorni e chiedendo a chiunque ci capiti sottomano notizie su questa faccenda dei contrabbandieri. Mettiamo insieme inglese, arabo e urdu a caso. Ci aggiriamo con aria vaga intorno al porto. Scrutiamo il mare fino ad avere le allucinazioni. Contiamo con sconcerto furgoncini e pick up a centinaia. Il giorno dopo abbiamo finalmente una buona scusa per esaminare meglio l'area portuale mentre ci rechiamo a prendere il Dhow per la gita nei fiordi. Sottoponiamo ad un terzo grado spietato la guida e il capitano del Dhow (ne approfittiamo per imporci anche - a turno - come timonieri, praticamente le turiste dell'incubo).
Ammirate la pausa pranzo a Telegraph Island, noi siamo le teste in acqua. Aneddoto: si dice che l'espressione "going round the bend" sia nata qui. L'estate ottocentesca a 50° su questo scoglio deserto, in effetti, doveva essere una gran brutta cosa. Se volete saperne di più sulla vicenda (e sui collegamenti telegrafici dell'epoca), leggete qua.
Ma sto divagando. Torniamo ai contrabbandieri. Per confermare le info raccolte, una volta rientrate in città, affittiamo una Toyota Corolla rosso metallizzato e ci aggiriamo per il souq "iraniano" seguendo furgoncini e camionette in una demenziale riedizione di "Spie come Noi". Osserviamo i cambiavalute. Ci appostiamo alla rotonda del porto per vedere chi entra e chi esce. Chi ci conosce di persona avrà sentito, in tutti i peggiori bar di Muscat, la storia dell'inseguimento del furgoncino carico di TV, finito in modo demenziale quando ci siamo incastrate in un vicolo dietro l'inseguito, un indiano dall'aspetto lombrosiano, che ha dovuto fare manovra per farci passare prima di rimettersi a scaricare la merce (non prima di essersi affacciato al nostro finestrino per chiedere in tono ostile dove stessimo cercando di andare. Ho farfugliato in risposta "We are lost, where is the Khasab Hotel?"). Questo ha messo fine alle nostre attività di intelligence. Non ne vado per niente fiera.
In sintesi la nostra ricerca, integrata dalle testimonianze dei locali - che parlano della questione come se fosse la cosa più normale del mondo - e da varie fonti giornalistiche, ci dice questo:
Ogni mattina qualche centinaio di barchini veloci lascia l'Iran schivando la Guardia Costiera iraniana. Carichi di capre e pecore, attraversano lo Stretto e puntano su Khasab dove scaricano gli ovini, caricano sigarette e televisori e, veloci come sono arrivati, ripartono per l'Iran.
Su questo sono tutti d'accordo. Dal proprietario dell'autonoleggio alla receptionist dell'albergo.
Parole chiave: Iran, barche, capre, sigarette e televisori. Praticamente un esercizio di scrittura creativa: usa queste 5 parole per raccontare una storia. La mia storia è questa - e badate bene che è solo una storia.
C'era una volta una penisola mediorientale popolata da pescatori e pastori di capre. Il terreno montuoso e inospitale rende difficili gli spostamenti via terra e i pochi abitanti della zona vivono isolati e - presumo - ignari dell'importanza strategica che a un certo punto avrebbe avuto lo stretto di mare davanti alle loro casette scavate nella roccia, stretto che i nostri eroi condividono con l'Iran. Negli anni '70, con l'ascesa al trono del Sultano Qaboos e la nascita degli Emirati Arabi Uniti, i pescatori/pastori peninsulari si ritrovano residenti in un'enclave omanita in territorio emiratino (con l'eccezione di un microterritorio che si annette agli Emirati diventando un'enclave emiratina in un'enclave omanita in territorio emiratino: il Medio Oriente è cosa complicata!).
Fast forward al nuovo millennio con l'importanza totalissima dello Stretto di Hormuz, le sanzioni all'Iran etc. etc.
Oggi Khasab è una strana cittadina servita da un aeroporto militare aperto al pubblico civile per 2 ore al giorno. Ogni mattina (tranne quando il volo viene cancellato per nebbia cioè spesso), arriva un bielica da Muscat, sbarca i passeggeri, viene pulito e rifornito di succhi di frutta e muffins, carica passeggeri e riparte per Muscat. Punto. E' qui che atterrano, nell'infernale afa di agosto, le due protagoniste della nostra storia.
Vista aerea dell'ubertosa penisola |
Solita mappa priva di qualsivoglia attinenza con la realtà dei luoghi |
"Viri a sinistra! Vadi, Fantocci, vadi!" E' FATICOSISSIMO (notare il surreale braccio da culturista che non mi spiego) |
Intervallo/Tre Minuti di Turismo e Cultura
Ammirate la pausa pranzo a Telegraph Island, noi siamo le teste in acqua. Aneddoto: si dice che l'espressione "going round the bend" sia nata qui. L'estate ottocentesca a 50° su questo scoglio deserto, in effetti, doveva essere una gran brutta cosa. Se volete saperne di più sulla vicenda (e sui collegamenti telegrafici dell'epoca), leggete qua.
Bei posti! |
A me il rosso metallizzato non pare il colore ideale per aggirarci in incognito però la combo volante-manicure è stilosissima. |
Ogni mattina qualche centinaio di barchini veloci lascia l'Iran schivando la Guardia Costiera iraniana. Carichi di capre e pecore, attraversano lo Stretto e puntano su Khasab dove scaricano gli ovini, caricano sigarette e televisori e, veloci come sono arrivati, ripartono per l'Iran.
Su questo sono tutti d'accordo. Dal proprietario dell'autonoleggio alla receptionist dell'albergo.
Foto di Reuters, link in fondo al post. Leggetevi l'articolo e guardatevi le immagini! |
Le capre arrivano. I televisori partono. Fin qui ci siamo ma, nello specifico, come è strutturata la transazione? Dove vanno le capre che il Musandam ha tipo 20.000 abitanti e mica possono mangiare tutte 'ste capre da soli? Da dove vengono tutti quei televisori? La risposta a entrambe le domande sembra essere "Emirati Arabi Uniti".
Come si svolge lo scambio? Chi paga gli scafisti di ovini e prende in consegna le bestie? Chi trasporta i televisori al porto? Chi gestisce i pagamenti? La risposta a tutte queste domande pare essere "gli omaniti". In effetti a Khasab ogni tre insegne, due appartengono a minuscoli "Import Export Offices"
Dove depositano la merce? Questa la so: al porto. Sì, al porto di Khasab che ha una sezione ufficialmente dedicata a questo peculiare commercio.
Chi ne beneficia? Un po' tutti, immagino. Gli iraniani riescono a procurarsi merci che altrimenti non potrebbero importare a causa delle sanzioni (e ci guadagnano qualcosina gli scafisti e "qualcosona" gli organizzatori piazzati oltre-stretto). Gli emiratini mandano in Oman TV e Marlboro e riportano a casa capre, con un profitto che faccio fatica a calcolare ma presumo interessante. Gli omaniti si occupano di trasporto via terra, logistica, stoccaggio, brokerage e, di riffa o di raffa, si fanno pagare da tutti gli altri. Chi ci perde? Come sempre, quando qualcuno ci perde, sono quelli che ci guadagnano meno: le acque dello stretto sono pericolose...
Se volete saperne di più, oltre a guardare il video, in calce c'è una breve raccolta di articoli e foto che ho collezionato nel tentativo di capire meglio questo interessante fenomeno commerciale.
France 24 ne scrive qui. Reuters qui parla della crisi del commercio dovuta al crollo della valuta iraniana e del ruolo delle autorità locali nella vicenda che - come avrete notato - io evito deliberatamente di menzionare (wink wink). D'altronde il governo, dopo essere stato cazziato dalla Germania l'anno scorso, non credo voglia sentirne parlare troppo. Qui trovate un po' di foto e qui l'album che sognavo di produrre ma che non ho potuto nemmeno cominciare dato che la zona carico/scarico del porto è stata chiusa al pubblico. Però una foto, una sola, un po' sfuocata e decisamente in lontananza sono riuscita a farla. Tre giorni di duro lavoro per questo:
Come si svolge lo scambio? Chi paga gli scafisti di ovini e prende in consegna le bestie? Chi trasporta i televisori al porto? Chi gestisce i pagamenti? La risposta a tutte queste domande pare essere "gli omaniti". In effetti a Khasab ogni tre insegne, due appartengono a minuscoli "Import Export Offices"
Dove depositano la merce? Questa la so: al porto. Sì, al porto di Khasab che ha una sezione ufficialmente dedicata a questo peculiare commercio.
Chi ne beneficia? Un po' tutti, immagino. Gli iraniani riescono a procurarsi merci che altrimenti non potrebbero importare a causa delle sanzioni (e ci guadagnano qualcosina gli scafisti e "qualcosona" gli organizzatori piazzati oltre-stretto). Gli emiratini mandano in Oman TV e Marlboro e riportano a casa capre, con un profitto che faccio fatica a calcolare ma presumo interessante. Gli omaniti si occupano di trasporto via terra, logistica, stoccaggio, brokerage e, di riffa o di raffa, si fanno pagare da tutti gli altri. Chi ci perde? Come sempre, quando qualcuno ci perde, sono quelli che ci guadagnano meno: le acque dello stretto sono pericolose...
Se volete saperne di più, oltre a guardare il video, in calce c'è una breve raccolta di articoli e foto che ho collezionato nel tentativo di capire meglio questo interessante fenomeno commerciale.
France 24 ne scrive qui. Reuters qui parla della crisi del commercio dovuta al crollo della valuta iraniana e del ruolo delle autorità locali nella vicenda che - come avrete notato - io evito deliberatamente di menzionare (wink wink). D'altronde il governo, dopo essere stato cazziato dalla Germania l'anno scorso, non credo voglia sentirne parlare troppo. Qui trovate un po' di foto e qui l'album che sognavo di produrre ma che non ho potuto nemmeno cominciare dato che la zona carico/scarico del porto è stata chiusa al pubblico. Però una foto, una sola, un po' sfuocata e decisamente in lontananza sono riuscita a farla. Tre giorni di duro lavoro per questo:
Fierissima di questo piccolo momento di giornalismo investigativo. Ingrandite fino a intravedere le barche cariche di pacchi grigi. |
8 comments:
mi fai troppo ridere...come al solito un posto pieno di contraddizioni..
però bello il mare!
Ma grazie, ho appena letto un po' del tuo blog dal paese "vicino di GCC". Vicino un po' sfortunello e analcolico :) Gran voglia di panzerotti!
Quello che so è che Dubai è il primo porto al mondo per il transito di merce contraffatta. Lì arriva la merce (sigarette, televisori, accessori moda, medicinali e così via), soprattutto dal Sud-Est asiatico, per poi ripartire felicemente verso il resto del mondo.
Emma, la geografia non è un'opinione: Dubai è nella posizione perfetta (per questo e per molte altre faccende non esattamente onorevoli).
Bellissima storia, anch'io voglio partecipare ad un bel weekend investigativo!!
Sa
La prossima volta diamo un'occhiata al confine con lo Yemen? ;)
Interessante!! ghghgh
Io potrei cominciare a studiare il confine svizzero, sa mai che salta fuori qualcosa di interessante!
Sa
Questa è stata l’avventura che mi è piaciuta di più! Spassosissima, peccato che il blog non sia più aggiornato... l’ho scoperto quest’estate mentre ero nella terra del Sultano, e in una botta di nostalgia me lo sono letto tutto. È stato bello tuffarsi ancora nell’Oman, grazie!
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